BLUE, ovvero sul Localismo
e CASA MIA.
Ho perso su tutti i fronti, lo so. Non ci sono né “se” né “ma”.
Ho perso.
Ma tu, nuovo adepto del mio blog, sicuramente non mi conosci
(o non mi conosci abbastanza) e vorrai senz’altro una spiegazione.
Ecco a te.
Dopo due anni di condivisione in un mini-appartamento nella
Milano imborghesita, nascosta (ma neanche tanto) tra i bastioni di Porta
Venezia e la frenetica Città Studi, il mio esperimento di convivenza
multiculturale è fallito. Chi mi è stato a fianco quest’anno sa come sono
diventata e il livello di intolleranza raggiunto per la mia scelta di vivere
con due ragazze libanesi islamiche. Sa delle mie fughe da casa, delle mie
nottate insonni, dei miei pianti e dei miei sgambetti. Sa della mia infelicità.
E della mia resa.
L’idea di cercare casa con loro è stata una decisione ben ponderata,
conscia del rischio e delle difficoltà da essa causate con l’obiettivo di
superare i problemi, eliminare gradualmente eventuali disagi e arricchirci.
Eravamo amiche. Eravamo diverse. Potevamo farcirci (non ridete, non pensate
male) a vicenda di una cultura che non ci apparteneva. Spesso però, sia per il razzismo dilagante in
Italia, sia per la necessità della nostra religione cattolica di dovere vedere
i lati positivi delle situazioni in ogni contesto, ci ritroviamo a parlare di
un solo lato della medaglia, di fronte al frammento più buonista e perbene o
più intransigente ed esacerbato delle situazioni. Insomma di fronte alla parte
meno utile e più banale della questione. Perché che la convivenza con studenti
di etnie diverse sia difficile,se non impossibile, nonostante gli sforzi da
ambedue le parti, è molto vero. Ma la multiculturalità, una volta ottenuta, non
rende nessuno felice al 100% e ti trasforma in un prigioniero incatenato da un
notevole numero di manette: le abitudini che ti vengono imposte. La vita
insieme non sarà mai perfetta, sarà dominata da una continua mediazione che a
volte si concepisce a fatica. Le rinunce a cui mi hanno obbligata, mi hanno indurito
col tempo e hanno reso inutili (o ancora peggio impossibili da accettare) i
miei tentativi di mediazione.
E allora ho smesso di mediare, ho smesso di interessarmi
alla loro vita privata e ho smesso di chiedere informazioni sulla loro realtà
culturale. Ogni cosa da loro detta ha iniziato a infastidirmi, mi ha
rimpicciolito il cuore e mi ha annerito l’anima. Mi ha fatto diventare cattiva,
insopportabile e intrattabile. Un duro colpo per la donna di mondo che voglio
sembrare, ma soprattutto che voglio ESSERE, a fronte delle difficoltà. Ho
creato la mia e la loro personale China Town nella speranza di essere più
tranquilla, di non dover discutere più di cose futili e di avere uno spicchio
di italianità nella mia piccolissima casa. Mi sono trasformata in una persona
gretta, incapace di guardare le cose da un altro punto di vista (uno dei miei
pregi migliori).
Insomma ho perso.
Ma tu, che sei capitato qui per caso, meriti che ti racconti
qual cosina, giusto per darti un’idea di quello che ho subìto. Ricordati che sono dentro la storia e che non
puoi proprio aspettarti obiettività perché, sì, posso (e potete farlo anche
voi) biasimare alcuni miei comportamenti, ma non potrei mai darvi un punto di vista
diverso dal mio. Non sarei onesta e ne ho le palle piene di vedere solo il lato
positivo delle cose e di scusare la maleducazione e la scorrettezza di tutti
(me esclusa). Vi parlerò di ciò per cui più di ogni altra cosa ho lottato: la
possibilità di portare e ospitare amici a casa (ora che l’ho scritto, mi fa
ridere).
Quando scegli di vivere con due ragazze musulmane molto
credenti sai che non sarà facile, ma sottovaluti il potere del velo e le
rotture che ne deriveranno. Per quello che mi è stato detto dalle stesse, pare
che Allah non gradisca che le donne restino scoperte. Cioè, per essere più
rispettosa (che Allah non si potrebbe neanche nominare e io lo sto facendo pure
“invano”), se sei donna credente devi nascondere capelli, collo, braccia e
gambe a tutti gli uomini che non appartengano alla tua famiglia o che non siano
tuo marito (i fidanzati non sono ammessi al club, devono aspettare il
matrimonio per sapere se hanno scelto una
ragazza bionda o mora e liscia o riccia). Un qualsiasi italiano tollerante
direbbe: “Ok! Fai come vuoi. A me non crea nessun problema”. Sbagliato! Quando
ho scelto le mie coinquiline sapevo che sarebbe stato rispettoso ospitare meno
ragazzi possibili (e questo è male), ma
non avevo compreso le altre difficoltà relative. Perché anche portare in casa
dieci minuti un individuo di sesso maschile crea grossi problemi dovuti alla
necessità delle signorinelle di stare a casa comode e senza velo. Perciò si
entra, si informano le conviventi della presenza di un “maschio”, ricevendo in
risposta uno sbuffo, una mussulmana coperta e l’inevitabile imbarazzo (o
scocciatura) dell’ospite a tempo molto determinato.
Ora, senza continuare il mio elenco di vicende, stranezze,
difficoltà ed emozioni, sono convinta che per raccontarvi in maniera
equilibrata le sensazioni che tale esperienza mi ha lasciato ci sia bisogno di
un Signor Fumetto. E, ve lo dico subito, Mr. F. fa parte della collana Psycho
Pop e si chiama Blue.
Blue è un fumetto scritto e disegnato da Pat Grant, un
australiano come tanti, biondo, sorridente e matto per il surf. La sua è
un’opera che consiglierei anche solo per il comparto grafico, anche se ritengo
che si tratti di una piccola pietra preziosa proprio per il modo in cui viene
trattato un argomento ostico come il localismo.
E come mai ci consigli ‘sto Blue? Arrivo subito!
Molto semplicemente perché Pat riesce in quello in cui io
sto fallendo: raccontare in maniera obiettiva e cinica le conseguenze che
genera la convivenza forzata di due etnie diversissime tra loro.
In Blue, infatti, ci troviamo subito a fianco di alcuni
giovincelli di Bolton (la città australiana fittizia in cui è ambientata
l’intera vicenda) e osserviamo la loro vita all’insegna dell’evasione e del
surf, unici mezzi per poter allontanarsi dal controllo e dalla perfezione
dell’opprimente cittadina. Non sono ragazzi simpatici, i nostri protagonisti. E
non smetteranno mai di irritarci pagina dopo pagina; gretti e superficiali essi
non fanno altro che perseguire un unico
interesse, quello di contare qualcosa per i coetanei. Insomma, degli
adolescenti qualunque, magari un pelo più irritanti del normale. La normalità e
la vita cittadina dei ragazzi continua finché una burrascosa mareggiata porta
con sé i Blue, azzurri mostriciattoli tentacolari, che in breve tempo iniziano
a insediarsi, ad adattarsi e a trasformare Bolton nella loro casa ideale.
Perciò ci troviamo, da una parte, di fronte a degli indigeni
che, da principio, non hanno desiderato accogliere i nuovi arrivati e che ora
ne pagano le conseguenze e, dall’altra, a degli ospiti che si sono adattati a
fatica e che non hanno mai avuto il minimo rispetto per le tradizioni locali. Tramite
tavole di una bellezza infinita e ad una capacità narrativa di alto livello, il
nostro Patt ci porta rapidamente dal passato al presente e riesce a farci capire
cosa sia l’intolleranza, sia da parte del popolo emigrato, sia da parte del
popolo ospitale. Gli eventi che si susseguono sottolineano quanto poco sia
importante chi abbia cominciato, ma il come gradualmente tutto si sia spezzato
da entrambe le parti. Non importa chi per primo se ne sia fregato, chi abbia
sbagliato di più e quando entrambe le popolazioni abbiano deciso
definitivamente di farsi i fatti propri (sempre che siano stati portati avanti
dei tentativi di integrazione qui), alla fine il malcontento dilaga e nessuno
appare davvero felice, nonostante il mare, le onde e il surf.
Ora potete immaginare perché non sia rimasta indifferente di
fronte ad un fumetto così. La risposta è: “Perché parla di me e della mia
sconfitta”. Da quanto l’ho letto, infatti, tutte le volte che racconto della
mia mini-avventura, tra spezie e cibi puzzolenti, riti incomprensibili e veli
diabolici, non riesco a non pensare alle odiose parole finali di Steve. Parole
che non vi svelo, ma che non lasciano scampo e che ci riducono ancora di più a
quello che siamo: dei miserabili egoisti incapaci di venirci incontro quanto è
importante, quanto può essere bello e quanto lo devi al tuo paese, per dare
buon esempio.
Pat ammette che durante la sua adolescenza lui neanche ci ha
provato. Io ci ho provato e ho fallito. Ora non mi resta che aspettare qualcuno
che ci riesca e che mi faccia vedere quanto sia figo essere diverso e
sopravvivere alle proprie diversità.
Io ho fallito. Probabilmente non ero la persona giusta. Ora
tocca a voi.
ho appena letto, ed un po' ho sorriso. sono cose capitate anche a me. con persone di etnie diverse, in una situazioni diverse, anche se poi non tanto. e i risultati le prime volte erano simili, si finiva per non sopportarsi a vicenda. Spesso e volentieri si passava dal pensare che era una situazione capace di arricchire tutti, al pentimento più profondo condito con la poca sopportazione di abitudini religiose, culinarie, culturali, rumori molesti, ed altro ancora, da entrambe le parti. Il che era anche abbastanza normale, visto che ognuno ha una definizione diversa di ciò che è "molesto". Mi è capitato più di una volta di sentirmi sconfitto come te, ma la realtà è che non lo sei. Prima di tutto, perché non è finito nulla. Può essere finita con loro, ma non sei finita tu. Avrai tante esperienze ancora, e da ognuna potrai imparare. Poi devi considerare che tu sei stata tollerante. Non tollerante verso altre culture, ma tollerante verso le tante piccole cose che mettono a disagio, facendo spesso un passo indietro. Ci sono persone di ogni cultura che capiscono che le loro abitudini possono essere fastidiose per gli altri, e persone che si ritengono dalla parte della ragione "perché si". Il fatto che le proprie abitudini siano di origine religiosa costituisce per qualcuno la ragione per farle prevalere, per altri la ragione per capire che ogni descrizione della verità può essere parziale, anche quando parla dell'Assoluto. Spesso, l'antidoto, è chiarire tutto fin dal principio. Cioè che è assurdo chiedere ad un italiano in italia di non portare gli amici a casa, giusto per fare un esempio tra i mille possibili. Non per mancato rispetto... ma solo perché è naturale come respirare. Questo è solo un esempio, e sono consapevole del fatto che non potevi saperlo prima, proprio perché questa è la prima volta. E non sto dicendo che la convivenza sia sempre possibile, ma non per via della cultura, quanto perché siamo persone, ed è così che funziona. Troverai altre ragazze libanesi, che per quanto religiose, saranno persone di buon senso. E lo so perché ne conosco. Non ti dico di riprovare oggi. Non ti dico nemmeno di riprovare. Spero solo che non rifiuti un'altra opportunità di un contatto con persone che vengono da lontano, semplicemente perché all' inizio non ti sbagliavi. Può essere davvero un'esperienza che ti arricchisce. Solo, non prenderla come una sconfitta, ma come un'esperienza. Avere a che fare con i nostri simili può essere difficile. Ma d'altra parte so che questi consigli non ti serviranno, perché sei una ragazza intelligente e troverai da sola la risposta alla domanda "che faccio?" :) Imparare è anche questo. Spero tanto di non averti annoiata :) . A presto
RispondiEliminaGrazie per le belle parole Giuseppe. E davvero un piacere sentirti.
RispondiEliminaNon credo che tenterò ancora una convivenza del genere.
Ma ciò non significa che smetterò di essere la persona aperta che hai conosciuto.
:)
La sfida della convivenza.
RispondiEliminaIl più grande esercizio spirituale.
Un giorno, un amico, da poco monaco buddhista mi disse.. molti pensano cje ritirarsi a meditare sia la soluzione si tutti i mali. E aggiunse, avete idea di cosa vuol dire vivere a stretto contatto con persone di etnie, abitudini e 'confini' diversi dai propri.. un grande esercizio spirituale.
Dopo 10 anni di convivenza ormai conclusa con la madre dei miei figli, penso che nulla ci prepara davvero alla convivenza, alla condivisione. Quindi si, è vero, la tua è un'esperieza che valorizzerai e assaporerai ogni giorno di più col tempo.
Perchè nulla è più alieno della convivenza con una persona dell'altra metà del cielo!
:-)
Ed evviva il fumetto.
Il fumetto è vivo.
Ciao
G.
Il tempo. Sempre il tempo. Solo il tempo.
RispondiElimina:)